Le vittime del Re Dollaro

Sep 21, 2022

Il Re dollaro sembra essere inarrestabile. 

L'indice legato alla valuta americana è salito ai massimi da giugno 2002, a discapito delle maggiori divise al mondo.

L'US dollar index (USDX) è un indice del valore del dollaro statunitense in relazione a un paniere di valute straniere. Come possiamo osservare di seguito, negli ultimi mesi, precisamente da inizio anno, il dollar index è salito di circa il 14% a fronte di un calo del 10% delle azioni globali.

Il calcolo dell’indice attribuisce un peso diverso a ciascuna valuta, con l’euro che determina il 57,6%, lo Yen il 13,6% e a cascata le restanti valute.

La principale spiegazione dell’attuale forza del dollaro può essere ricondotta al fatto che nonostante l’economia statunitense sia in recessione, una combinazione di fattori hanno reso il dollaro una scommessa migliore per gli investitori rispetto alla maggior parte delle altre valute.

La Federal Reserve ha infatti anticipato tutte le economie sviluppate inasprendo la propria politica monetaria e iniziando ad alzare i tassi di interesse già a marzo (dopo averli mantenuti vicino allo zero per gran parte della pandemia). 

Questa mossa ha reso attraenti le obbligazioni statunitensi a molti investitori, che di conseguenza hanno spostato i loro capitali (dollari) su quest'asset class.

C’è però un aspetto insolito nel rafforzamento del biglietto verde avvenuto quest’anno: si è apprezzato più contro le valute delle economie sviluppate che verso quelle dei mercati emergenti.

Con una Fed che continua ad alzare i tassi e a tenerli alti per mitigare l'inflazione statunitense, l'orizzonte è ancora grigio.

Nonostante molte Banche Centrali, anche se in ritardo, stanno cercando di colmare il gap con i rialzi della Fed, questo potrebbe non essere sufficiente.

La forza del dollaro riflette infatti non solo un'aspettativa sui rialzi dei tassi dei fondi federali (ora al 2,33%), e quindi una maggiore domanda di obbligazioni ma rispecchia anche i rischi di una recessione globale derivante da un aumento prolungato degli stessi tassi.

In questo secondo scenario il dollaro rappresenterebbe il bene rifugio per eccellenza, in cui ripararsi durante le turbolenze economiche.

La forza della valuta statunitense ha inevitabilmente danneggiato anche le economie emergenti.

Questo perché molti paesi emergenti detengono debito denominato in dollari. Un dollaro più forte significa pagamenti del debito più elevati, il che ha spinto alcuni investitori a prevedere un'ondata di default.

Come mostra il grafico seguente, finora i deflussi di capitali dai mercati emergenti sono stati contenuti, tuttavia, la stretta di liquidità globale potrebbe peggiorare la situazione.

Non sorprende quindi vedere che i gestori dei fondi intervistati da Bank Of America hanno attualmente una grossa percentuale di liquidità in portafoglio, superiore a quella detenuta durante la crisi finanziaria del 2008.

È proprio in queste situazione che bisogna avere una buona diversificazione geografica e valutaria.

Investendo nella maggior parte dei prodotti finanziari che troviamo sui vari broker siamo infatti costantemente soggetti al rischio cambio.

Ricordiamo infatti la differenza tra valuta di denominazione e quella di negoziazione.

Pensiamo ad un Etf. La valuta di denominazione è quella in cui l'Etf è stato emesso, mentre la valuta di negoziazione è invece quella con cui l’Etf viene scambiato sul broker (in euro su Borsa Italiana, per esempio).

In altre parole, un rialzo del 2% dell’Etf può essere vanificato o amplificato dall’andamento del cambio Euro/Dollaro.

Non dobbiamo quindi dimenticare di tenere sempre a mente la nostra esposizione a una determinata valuta, per far si che il nostro portafoglio sia il più bilanciato possibile.